Ogni due anni quello che domando a Venezia è di divertirmi e propormi qualcosa di mai visto. La Biennale di Venezia è per me meraviglia, sorpresa e sconcerto. Se risponde a questi difficili compiti, per me è promossa. Vediamo come è andata l’annata 2019.
I Giardini. Dove tutto è iniziato
Era il 1895 quando Antonio Fradeletto, politico veneziano, entrò in contatto con il sindaco Riccardo Selvatico e insieme accesero il motore della Biennale. La primissima Esposizione internazionale trovava spazio nel Padiglione Centrale costruito all’interno dei giardini napoleonici, nel sestiere di Castello. In questa Biennale era esposto un dipinto che aveva sconcertato tutti: “Il Supremo Convegno” di Giacomo Grosso.
Il quadro ardito dell’artista e docente presso l’Accademia Albertina di Torino ritraeva cinque donne nude e danzanti sulla tomba di un fantomatico dongiovanni all’interno di una chiesa. Scandalo! Non curanti della lettera minacciosa del futuro Papa Pio X, la commissione decise di esporre l’opera in una saletta laterale e di difficile accesso. Come non detto, la sala divenne la più visitata e la gente accorreva da ogni parte per vedere l’opera della discordia.
Ecco, la Biennale deve essere questo, e l’ha dimostrato sin dagli inizi: stupore e curiosità.
Ogni volta che entro nel Padiglione Centrale mi piace immaginare ciò che accadde nel 1895 per respirare almeno in parte quel turbamento. Per questa Biennale 2019 non mi è successo. Di emozionarmi, intendo.
Il Padiglione Centrale ricalca appieno il tema della 58esima Biennale pensato dal curatore Ralph Rugoff: “May You Live in Interesting Times”. Il “non-tema” scelto è qui ben esposto in quanto viene rappresentata una umanità varia e una panoramica più che mai aperta alle varie interpretazioni del nostro tempo. L’idea di molteplicità è il tema conduttore e in questa non-scelta non mi ritrovo.
«I partecipanti a questa Mostra dimostrano un’audacia profonda: ciascuno di essi produce corpus di opere che articolano modalità distinte di pensiero e abbracciano una vasta gamma di tematiche.» (Ralph Rugoff)
Il “Mondocane” del Belgio interpreta appieno questo concetto. I protagonisti del padiglione pensato e realizzato dal duo Harald Thys e Jos de Gruyter sono dei fantocci umani che parlano e si muovono in una realtà creata per loro. È un presepe formato da personaggi un po’ retrò che ci portano a simpatizzare per loro e fare il tifo perché si liberino dal loro essere arrotini, moschettieri, pizzaioli, bambole, zombie…
Restiamo nel mondo francofono e sbarchiamo nel padiglione Francia, che per me ha centrato l’obiettivo: mi ha stupito. E l’ha fatto forse nel modo più semplice e cioè rivoluzionando le consuetudini. Si entra dal retro e per raggiungerlo bisogna passare tra gli arbusti che circondano il padiglione.
Siamo già pronti a guardare (e guadare) la scena con occhi nuovi quando veniamo accolti nel mondo dell’artista Laure Prouvost e nel suo “Deep see blue surrounding you”. Il padiglione si configura come un percorso fatto di installazioni, oggetti, video, magia, danza e musica. Da vedere.
L’Arsenale. È sempre la parte più interessante
Quest’anno credo che non lo sia. O meglio la prima parte promette grandi cose e lascia sbigottiti, ma continuando il percorso l’attenzione cala e la forza degli inizi scema vertiginosamente.
Da non perdere, ed è difficile farlo perché occupa una vasta area, è l’installazione sonora dell’artista indiano Shilpa Gupta con “For, in your tongue, I cannot fit”. Le voci dai microfoni decantano i versi di cento poeti incarcerati per le loro opere. Le parole si rincorrono nelle varie lingue e ci troviamo immersi in un universo sonoro che non può non muovere gli animi.
Ma non lasciatevi trasportare e continuate la visita verso la pompa ad aria degli artisti cinesi Sun Yuan e Peng Yu. Anche in questo caso la sentirete da lontano e vi scoprirete minacciati dai suoi movimenti bruschi. Il tubo è violento e si muove in modo inaspettato nel cubo di plastica trasparente nel quale è rinchiuso.
Troviamo un comune denominatore che sono i suoni e i rumori dell’arte presentata. È grande l’importanza infatti che questa Biennale dà al senso dell’udito, ma vissuto in maniera atipica.
C’è invece silenzio tra gli uomini appesi dell’artista tedesca Alexandra Bircken. Scale, imbottiture, latex e corde sono per queste figure fluttuanti l’unica realtà possibile in un mondo alla fine dell’umanità.
Prendiamo un più che gentile passaggio sui golf cart messi a disposizione dei visitatori per arrivare al Padiglione Italia in fondo all’Arsenale.
L’area italiana è un labirinto con pareti bianche e fragili. Il progetto di Milovan Farronato Nè altra, nè questa: la sfida del Labirinto lascia libero lo spettatore di scegliere la sua strada. Tra una strada e l’altra del dedalo si trovano salette, teatri, zone in cui prendere aria. Due artiste lasciano il segno e sono Chiara Fumai e Liliana Moro.
Jannis Kounellis a Ca’ Corner della Regina. La Biennale fuori dalla Biennale
Fino al 24 novembre tutta Venezia è preda dell’arte e quindi non solo i luoghi canonici della Biennale vengono coinvolti, ma tutta la laguna. Ci dirigiamo verso la Fondazione Prada che ha sede a Venezia in una preziosa dimora nobile che si affaccia sul Canal Grande. La Fondazione ospita una mostra tanto attesa, e cioè quella dedicata all’artista greco dell’arte povera Jannis Kounellis curata da Germano Celant.
«Kounellis è riuscito a esprimere un sentire unico, alternativo e radicale – che è la vita –, dando alla pittura una dimensione organica e concreta. Ha dato corpo a una rappresentazione unica, che non si è nutrita di ripetizione ma di continui mutamenti e trasformazioni, per rimanere ancorato al passato quanto al presente.» (Germano Celant)
La mostra riunisce 60 lavori dell’artista scomparso nel 2017 e concede agli spettatori di vedere queste opere vivere con l’accensione dei fuochi alle ore 17.
In questa antologica, curata dal padre dell’arte povera Germano Celant, si riscopre l’azione magica e l’accumulo che erano motori della pratica artistica di Kounellis. Tra le sale di questo luogo si rivive la sua ricerca attraverso una relazione personale e tragica con la storia del suo tempo, e quella di oggi.
La nostra incursione veneziana ci ha dato cose su cui riflettere. Sempre puntuale la Biennale di Venezia attende tutti i curiosi, esperti e novellini, intenditori e principianti.
Elena