Per RAM 2017 continuiamo con la sezione Pittura. È il turno di Agnese Scultz che ci spiega la sua opera “Folla” e l’uso imprescindibile del caffè nella sua poetica!
Tutte le opere degli artisti saranno in mostra dall’ 1 al 17 settembre 2017 presso il Museo d’Arte della Città di Ravenna.
Definisci la tua arte, se è definibile. A cosa e a chi ti ispiri nel tuo percorso artistico.
Se cercassi una definizione strettamente legata alla tipologia dei soggetti che ritraggo, probabilmente, per definire la mia arte utilizzerei il termine “figurativa”: sono infatti i volti gli unici protagonisti dei miei lavori. Un’artista a cui senza dubbio mi ispiro è Boltanski. La mia ricerca, proprio come la sua, è incentrata sul tema della memoria in una costante alternanza tra realtá personale e collettiva creando frammenti di vita a partire da oggetti non appartenuti all’artista, ma considerandoli tali, come foto depositarie di un forte potere emotivo.
Quali sono le tecniche che ti piace utilizzare o che sono a te più congeniali?
Provate a pensare, nel modo più generico possibile, ad un passato lontano dal vostro vivere. Pensate al vissuto dei vostri nonni, a quel passato che alle generazioni d’oggi appare quasi come un racconto fantastico che narra di orologi a carica e macchine fotografiche analogiche. Cosa immaginate? Che colori impregnano la vostra visuale? Per me la memoria è dipinta da monocromie, toni di bianco e nero e seppia. È per questo motivo che per dipingere utilizzo il caffè. Il caffè è un pigmento naturale capace di rendere una infinità di toni e cromie magnifiche, per non parlare dell’aroma che ogni singola tipologia sprigiona durante il suo utilizzo. Le mie opere narrano vite dimenticate di volti, rimasti ormai solo impressi in stropicciate carte fotografiche,o attraverso macchie di caffè ponderatamente disposte sul tessuto.
Il tessuto è il supporto che mi permette di rappresentare quell’atmosfera nebbiosa e tremolante che io associo alla memoria, catturando l’immagine esattamente un istante prima della sua scomparsa. Nelle mie opere più recenti, il ricordo consumato dal tempo è enfatizzato da un vero processo di sovrapposizioni: il volto viene dipinto in modo dettagliato direttamente su di un pannello di legno con il caffè, in seguito il pannello viene ricoperto da un tessuto di cotone dalla trama talmente fine da permettere di intravedere il disegno sottostante sul quale vengono impresse macchie di caffè che impediscono una lettura immediata dell’immagine, invitando il fruitore a soffermarsi per cercare di ricreare l’insieme visivo.
Utilizzo il caffè disciolto nell’acqua come fosse un acquerello, lasciando libertà controllata alle pennellate che nell’accarezzare il tessuto e sul legno si dilatano e si sfrangiano in modo casuale, viaggiando tra la consapevolezza del mio gesto controllato e lo straordinario evolversi casuale di quelle macchie dalle quali faccio emergere i tratti di volti che altrimenti non ricorderebbe più nessuno.
Sono i volti i protagonisti delle tue opere. Da chi è composta questa “Folla”? E cosa vuole dire allo spettatore?
“Folla” sono voci, striscioni di protesta, slogan, manifestazioni di massa, volti e soprattutto presenza. In qualsiasi azione o gesto, singolare o collettivo che sia, siamo prima di tutto rappresentati dal nostro volto. Non sono importanti i nomi, qualsiasi messaggio si voglia divulgare non esiste miglior mezzo di un volto, di uno sguardo. E più sguardi sono rivolti verso di noi, più forte sarà la voce del messaggio che giungerà alle orecchie dello spettatore.
Perché è immersa nel caffè della tela? Questa bevanda, in fondo, è la protagonista del quadro con i suoi profumi e i ricordi che suscita, o forse no?
Credo che il caffè sia uno tra i profumi più comuni e riconosciuti da chiunque. La peculiarità di questo profumo sta nel riuscire a far scattare nella memoria personale di ognuno di noi ricordi spesso molto intimi, famigliari e nostalgici. È attraverso l’utilizzo di questo mezzo sensoriale che vorrei riuscire a legare l’immagine di un ricordo sconosciuto alle emozioni dello spettatore: è come se quelle macchie di caffè con il loro profumi riuscissero a sovrastare gli odori di quel momento, di quel ricordo, permettendo al fruitore di sentirsi coinvolto, perché quel profumo è anche un suo ricordo.
“Facciamo un ‘77” è il tema di RAM 2017. Cosa significa per te questo ’77 e come hai affrontato in arte un anno forse così lontano dal presente?
Apparentemente il ’77 è proprio una di quelle fotografie in bianco e nero, un po’ sbiadite di un passato vissuto da altri. Rappresenta sicuramente un momento storico ben lontano da ciò che vive la mia generazione. Ho dovuto affrontare l’argomento documentandomi per evitare banalità e per approfondire aspetti del periodo prima a me poco chiari. È stato un tema difficile del quale ho voluto evidenziare l’unità collettiva che permise ai giovani di esser attori del cambiamento evitando il naufragio facendo esplodere voce e creatività.
Una domanda che non manca mai nelle nostre interviste: che cosa è per te la bellezza?
Bellezza è un’identità nascosta dal segreto, dal mistero, dall’apparenza. È quello stadio di galleggiamento dell’anima in cui l’emozionarsi dello spettatore è un’azione inconsapevole e involontaria. È quel momento in cui davanti ad un’opera ti senti fragile, malinconico, in uno stato di sospensione del giudizio, in cui il tuo sguardo si sofferma su qualcosa di riconoscibile e allo stesso tempo talmente bello da stupirci come se vedessimo per la prima volta.
Elena e Antonio