Lorenzo Jato porta il Writing a RAM 2017. Sezione Pittura.

Per RAM 2017 concludiamo con la sezione Pittura e intervistiamo Lorenzo Jato, alias Jatonez. Pittore e Writer.

Cosa c’è dietro l’arte di scrivere il proprio nome? Scopriamolo in questa intervista lunga e molto interessante che oltre al tema “Facciamo un ’77” ci permette di scoprire il mondo e le influenze del mondo dei Writer.

Definisci la tua arte, se è definibile. A cosa e a chi ti ispiri nel tuo percorso artistico.

Non ho alle spalle un percorso classico di studi artistici, sono autodidatta e non sono mai stato incline alle definizioni su quello che faccio tranne quella di Writing, sono sempre stato più focalizzato sulla mia passione: dipingere e migliorare. Lascio volentieri a chi guarda ogni definizione essendo un’arma a doppio taglio, e accetto volentieri una critica motivata.

Detto questo costruisco, deformo, curvo, spezzo, incastro, intreccio, divido, unisco le linee che formano le aste delle singole lettere, per poi restituirgli nuova vita, colore, personalità e infine scriverle col mio stile nei più diversi supporti, dai muri ai vestiti passando per le tele. Passo dopo passo la cultura Hip Hop e la disciplina del Writing (quindi dello scrivere la mia tag Jato nel modo più stiloso e personale possibile) mi hanno fatto scoprire il mondo molto più ampio delle lettere, della calligrafia, della grafica e dell’arte. Mi hanno fatto incontrare nuovi amici in tutto il mondo, tantissima gente brava e vedere posti che altrimenti non avrei mai visitato, mi ha fatto e mi fa ancora crescere artisticamente e umanamente. Gran parte del mio percorso sta nel Writing e nei consigli che i più “anziani” o bravi mi davano, vivendo con l’attitudine di chi ha sempre tanto da imparare, umilmente.

Negli ultimi anni ho iniziato un percorso parallelo studiando calligrafia, qui sono davvero un novello e ho trovato nuovi stimoli e un modo nuovo di intendere le lettere, e per la prima volta ho avuto dei Maestri e frequentato dei corsi nel senso classico del termine. Probabilmente da qui ho iniziato a comprendere veramente le lettere, ed accorgermi di quanto vasto fosse il terreno da esplorare a loro correlato.

Per il resto prendo spunto da tutto ciò che mi incuriosisce o colpisce, può essere musica, una storia, un pensiero, una scena o una riflessione, la natura o il degrado che mi circonda. Tutto può aiutare se preso con lo spirito giusto. Adoro lavorare con un tema, è sempre un’ occasione per scoprire qualcosa di nuovo e mettermi alla prova.

Parlando di Writers, l’ albero genealogico del mio stile comprende sicuramente e al primo posto Dondi, poi Seen, Ces, Case2, Neon, Darco, Bando, Dare, Blef, Jepsy, Yes 2, Nero e in generale la old school di NY ed Europea. Loro sono stati delle ispirazioni e dei modelli ed in particolare Nero è stato il Writer che mi ha fatto da mentore nei primi anni, spronandomi a trovare le mie lettere, insegnandomi a costruirle e a non prendere scorciatoie di sorta durante il percorso.

Nella pittura adoro Rembrant, Leonardo, Turner, Bacon, Durer e Dalì, tra i contemporanei Samorì è quello che più mi ha colpito per la forza delle sue opere.

Il mio percorso è e rimane alimentato dalla continua sfida con me stesso, dal divertimento e dalle emozioni che scrivere e disegnare mi suscitano. Riuscire a trasformare un’ idea in un disegno o una scritta è la soddisfazione più grande per me.

Fondendo le conoscenze e le tecniche che continuo a ricercare e provare a tradurre in segno (mi sento ancora un bambino curioso alla scoperta del mondo), man mano le mie lettere prendono coscienza delle loro radici, si evolvono e crescono assieme a me, al mio ritmo e senza pretesa di dover essere le più stilose, a me basta che siano le mie e che riescano a trasmettere ciò che sento, da sole o inserite in un contesto figurativo.

Quali sono le tecniche che ti piace utilizzare o che sono a te più congeniali?

Dipende dal tipo di supporto sul quale lavoro e dal tipo opera da realizzare: se faccio Writing ovviamente gli spray, se faccio una tela generalmente uso gli acrilici, inchiostri o caffè, se su carta passo dalla grafite agli inchiostri all’acquerello ai markers a seconda della necessità e dell’atmosfera che voglio dare alla scritta o al disegno.

Dai graffiti, al lettering, passando per la calligrafia. Una street art solo tua. Parlacene.

Quando per la prima volta mi trovai coscientemente ad osservare un pezzo su un muro avevo 13 anni, lo ricordo come se fosse ieri per la botta di adrenalina e stupore che provai.

Un anno dopo feci il mio primo, orribile, pezzo in un muro in campagna. La sensazione di quel momento è divampata in un fuoco che ancora brucia forte, ed ogni nuovo pezzo mi riporta a quel momento, sono ancora il bambino di allora che si stupisce quando riesce a fare il pezzo che si era prefissato, e che subito dopo ne vede solo i difetti e torna a casa a studiare.

La cultura del Writing per come la intendo io ha come base che ogni Writer o Bomber debba avere il suo stile, qualunque esso sia deve distinguersi dagli altri. Io faccio parte della terza generazione di Writers della mia città (Iglesias), e questo mi hanno giustamente trasmesso. Ricordo le ramanzine infinite contro chi portava un bozzetto e noi, guardandolo, trovavamo qualcosa di copiato. Questo può sembrare eccessivo ma in realtà è grazie a questo che il Writing si è evoluto nei suoi 40 anni di storia. Oggi, tra internet, social network, ricerca della fama a tutti i costi e in breve tempo, e non ultimo l’esplosione della cosiddetta Street Art e il ritorno dei Writers nei circoli legati ai Musei e all’Arte, tantissimi (giovani e ahimè meno giovani) si buttano a capofitto e cavalcano l’onda dello stile o dell’effetto che va di moda in quel momento, mettendo le lettere in secondo piano, cambiando o costruendo il “proprio” stile in base a motivazioni effimere come la fama, il denaro, il farsi belli e considerarsi i più forti, ma non sono i follower che fan di te un Writer o un Artista, e la fama raggiunta con le scorciatoie è temporanea come lo sono tutte le mode. Mi chiedo: ne vale la pena? Quanti continuerebbero a dipingere se nessuno li considerasse? Mi rispondo: no, non ne vale la pena, pochi continuerebbero e va bene così, tra Writer le cose si sanno e si riconosce chi ha l’attitudine e chi no.

Sulla base di questo pensiero ho sviluppato il mio stile da Writer, parafrasando Vulcan ho passato più ore a disegnare che a scuola, eppure non sono mai stato bocciato e avevo buoni voti.

La calligrafia mi sta aiutando tantissimo nel capire le radici e le forme delle lettere, le proporzioni, il ritmo, l’armonia e la genesi dei segni che compongono il nostro alfabeto. Sto cercando di strutturare le mie lettere con queste nuove conoscenze, senza compromettere la freschezza e l’apparente assenza di regole del Writing. Son più frequenti ad esempio dei grandi loop (curve) che ricalcano i movimenti degli svolazzi, quanto mi diverte muovermi con tutto il corpo quando dipingo!

Questo è il mio Writing, che non considero Street Art perchè si tratta di due mondi completamente diversi: la Street Art, quando è fatta bene come nel caso di Blu, trasmette un messaggio forte ed usa diversi media e diversi soggetti rispetto al Writing.

Ma soprattutto, gli street artist non fanno lettere, e col temine Street Art si è racchiuso tutto un mondo di poster, stickers, figurativi e performance per aver un prodotto appetibile da Musei e Fruitori. D’altra parte il Writing puro è e rimarrà solo ed esclusivamente  la pratica di scrivere la propria Tag su qualsiasi superficie possibile illegalmente e non, con gli spray e i markers. Tutto quello che si discosta da questo concetto non è più Writing, può esserne un’evoluzione, si può chiamare come si vuole ma non è Writing.

Già negli anni ’80 Dondi e altri Writers esponevano nei Musei di tutto il mondo (ricordate Arte di Frontiera nel 1984 a Bologna?)  quando ancora la street art era circoscritta ai Murales di Orgosolo e a Killroy wuz here. Ma già loro dicevano che le tele che portavano ai musei erano opere pittoriche, arte derivante dal Writing, ma che il vero Writing si trovava solo sui treni e sulle strade di NY, spontaneo e fruibile a tutti e che il loro nome doveva raggiungere la fama, non la loro faccia.

Cosa significa nella tua poetica “sviluppare alfabeti personali”?

Sviluppare un proprio stile e di conseguenza avere un alfabeto personale è uno dei due cardini della cultura del Writing, l’altro è scrivere il proprio nome ovunque. La ricerca ed il perfezionamento del mio stile hanno scandito gli ultimi diciannove anni della mia vita, ed il fatto di non esserne mai soddisfatto è la motivazione che mi fa continuare questo percorso giorno dopo giorno, oltre al fatto che mi diverto un mondo a farlo e a cercare di spingere sempre un po’ più in la i miei limiti. La poetica entra in gioco quando si comprende che attraverso le lettere e le linee che le compongono si trasmette un messaggio a chi le guarda, che non è solamente il nome o la parola scritta in sé ma un livello più profondo ed emotivo, ad esempio si può scrivere la parola “pace” e trasmettere un emozione opposta al suo significato letterale, semplicemente dando un diverso ritmo alle linee che la compongono. La potenza comunicativa della linea e del colore vengono prima del significato semantico della parola che si sta scrivendo. Questo fa la differenza tra una tag bella ed una brutta, e da qui si definisce lo scheletro del proprio stile. La linea è importantissima nel writing: per questo, benchè mi piacciano molto i pezzi in 3D realistici tipo Daim o Peeta, nel mio writing l’outline (la linea di contorno della lettera) non deve mai mancare, e cerco di tirare tutte le linee senza ritoccarle, proprio per esaltare la forza del tratto e dare più impatto al pezzo, che agli occhi risulta vivo, caldo al contrario di un pezzo iper preciso con mille ritocchi (in gergo Overpainting) che risulta freddo, come un disegno su photoshop in confronto ad un olio su tela. Inoltre è la parte del pezzo che mi diverte di più realizzare.

“Facciamo un ‘77” è il tema di RAM2017. Cosa significa per te questo ’77 e come hai affrontato, attraverso le pratiche di street art, un anno forse così lontano dal presente?

Ho affrontato questo stimolante tema partendo da una riflessione: c’è qualcosa che accomuna un trentenne di oggi a chi era trentenne negli anni ’70? Le mia risposta è stata sì, perché viviamo ancora dentro la strategia della tensione e ancora cercano di minare l’unità e la coscienza popolare, allora con le bombe ed oggi con mezzi più subdoli come il razzismo, il potere, il denaro e gli estremismi politici, religiosi e sociali. Ho allora intervistato le persone a me vicine che han vissuto quegli anni, chi da comunista, chi da operaio, chi da attivista e chi da fascista, ed ho avuto conferma della mia lettura, tutti han parlato di un gran periodo di unione e lotte per i diritti, di nuovi, rivoluzionari ideali di equità e giustizia, di libertà e valori civili. Il ’68 è lo spartiacque di un nuovo modo di intendere l’uomo e la donna, la società ed il mondo. Ideali fortissimi che, grazie all’unione popolare e tra lavoratori, iniziavano a diventare realtà: la legge sull’aborto, sul divorzio, il rifiuto di ogni forma di razzismo e si sopruso sui più deboli stavano cambiando la faccia del mondo, Martin Luther King, Allende, i movimenti femministi e per i diritti degli omosessuali. Questo cambiamento è stato rallentato con il più classico degli schemi tattici: Divide et Impera.

Tutti conosciamo la strategia della tensione ed il caos di quegli anni: i mandanti politici, le motivazioni economiche, i giochi di potere, le infiltrazioni dei servizi segreti deviati, tutti ricordiamo le centinaia di vittime che quel periodo ha portato con se quando la paura, l’odio e la cattiveria presero il sopravvento guidati da una mano oscura che dopo 40 anni ancora non ha nomi, moventi, colpevoli e soprattutto mandanti. Quello che forse non era calcolato è che un’ideale per quanto maltrattato non muore mai, e sono ancora un pelo fiducioso riguardo ad un futuro dove il benessere venga calcolato sulla qualità della vita, di ogni singola vita in maniera equa, e non sul profitto. I tempi son comunque tempestosi perché tra questa nuova ondata di terrorismo, tutta la disinformazione (voluta da politici e imprenditori senza scrupoli sui flussi migratori e sul perché essi avvengano), gli estremismi religiosi o frivoli come gli scontri tra Ultras altro non fanno che aumentare il nostro essere isolati e uno contro l’altro, invece di riunirci ancora e dar due simboliche pedate a chi ci sfrutta a norma di legge.

È un meccanismo pericoloso quando non ci si rende più conto di cosa è vero e cosa no, e si finisce con l’odiare un poveraccio che ha rischiato la vita in mano ai trafficanti per fuggire dalla guerra, invece di prendersela tutti assieme con chi la guerra la provoca per meri interessi economici, mascherata da missione di pace. L’empatia è ai minimi storici, così come la memoria di appena 100 anni fa, quando gli immigrati erano i nostri nonni e bisnonni. Aggiungi la solitudine da social network al tutto, ed ecco come Divide et Impera funziona ancora oggi, ad un livello molto più intimo purtroppo.

Pasolini nel suo famoso editoriale “Io So”, spiega bene questo meccanismo, i parallelismi col presente sono impressionanti, così come definisce quello che deve essere il ruolo di un Artista e di un Intellettuale nella società. Apolitico, senza padroni cui render conto, cassa di risonanza di verità scomode e di valori rivoluzionari, contro il potere in qualsiasi sua forma, portatore di bellezza, di cultura e di valori. Più che mai attuale e necessario oggi. Purtroppo fu ucciso poco dopo la pubblicazione di questo articolo, a rimarcare ancora quanto l’ Artista può minare lo status quo e aiutare a cambiare il mondo e svegliare le coscienze.

Perché gli ideali non muoiono mai, si trasmettono e resistono, e quando il sistema capitalistico arriverà al naturale collasso (è matematica alla fine, tutto si basa su formule matematiche),  i valori saranno ancora lì, candidi e ripuliti da chi negli anni gli ha cucito addosso false speranze, frontiere tra popoli, finti portatori di pace e falsi predicatori. Tutto per il potere ed il denaro. Nella mia opera ho cercato di rappresentare tutto questo, tenendo comunque come punto focale le lettere che compongono il mio nome.

Una domanda che non manca mai nelle nostre interviste: che cosa è per te la bellezza?

Armonia, Ritmo, Contrasto.

Elena e Antonio

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